
Ho comprato un tappetino, per fare i miei soliti due salti e fermare un minimo la gravità che influenza le mie parti molli, sono pigro ed è difficile che mi cimenti in altro genere di attività, figurarsi con questo freddo micidiale che c'è fuori. Oggi l'inquilino del piano di sopra viene qui e si lamenta del casino che combino, fine dei giochi (l'angolino del dramma/farsa sta che in pratica in questo dormitorio, in questa scuola, qui non c'è un CANE, solo io e lui, che culo).
Ho pensato, man mano che le vacanze invernali si avvicinavano, che avrei potuto fare molte cose in questo mese e mezzo: un po' di esercizio per buttar giù la pancia, scrivere, disegnare, studiare, tutte le cose di questo mondo che richiedono un po' di concentrazione che di solito langue; col favore della quiete, della solitudine e della disperazione mi sarei pian piano adattato alla situazione e magari ne avrei tratto vantaggio.
Eppure è la prima volta che provo una solitudine così lacerante: è una sensazione nuova, oscura e orribile, qualcosa che sento però di dover affrontare, troppo facile prendere il primo aereo che trovo, spendere più di quanto ho guadagnato in due mesi e una settimana di lavoro e tornare a casa. E, come Titta, un solo pensiero mi attanaglia: quello di uscire dalla solitudine.
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