Che caldo che fa a Jinan. L'estate cinese davvero non conosce pietà. Che poi, in pratica, è anche la stagione in cui piove di più: ciclicamente si alternano giornate dove mi sembra di vivere in un forno, poi il cielo si copre, per un giorno o due la minacciosa coltre di nubi ci osserva, poi qualche tuono e improvvisamente giù colla piogga come se la buttassero a secchiate. Io intanto per aver ceduto al peccaminoso piacere dell'aria condizionata in camera mi sono beccato il raffreddore, mi sento l'occhio destro gonfio e ogni tanto mi scende una lacrima. Il mio conto alla rovescia manuale su MSN e QQ segna meno undici giorni al rientro in Italia.
Tramite amici semi-sconosciuti di chat avevo ricevuto un'offerta di lavoro: insegnare per 5 mesi nell'Hubei, a Shiyan. Un posto decisamente "remoto", una città cresciuta in mezzo alle montagne perché lì Mao, il grande timoniere, decise di piazzarci una fabbrica d'auto. Isolata dal resto perché temeva che i russi cattivoni la bombardassero.
Ci ho pensato, se andare o meno, ho chiesto consigli, ho valutato i due percorsi possibili e come comportarmi con banca, poste, biglietti aerei in un caso o nell'altro. E ci penso ancora, ma il tempo è agli sgoccioli e dall'altra parte ancora non hanno tirato fuori uno straccio di contratto. La vedo improbabile come cosa, adesso, mi dispiace ma è anche vero che la voglia di tornare a casa c'è.
Dopo due anni, domenica scorsa, ho ridato l'esame HSK. Questa volta da solo, senza Elisa, Eva e Diego, senza l'autobus a portarci alla sede d'esame perché l'ho fatto all'università, lì dove seguivo le lezioni di cinese. Mi sono iscritto all'esame per una sorta di competizione con me stesso, dubito che mi serva a qualcosa dal punto di vista lavorativo... ma la speranza è l'ultima a morire. Avevo un po' di strizza all'esame perché, dopo la fortuna del sesto livello preso nel 2008, temevo l'eventualità di non superare il punteggio dell'esame precedente, finito l'esame ho avuto un grande senso di sollievo. Mi è sembrato, beh, facile. Più del libro sul quale mi sono preparato, più del livello delle lezioni che seguivo all'università. Mi è sembrato facile un esame che due anni fa ho affrontato con spirito d'avventura, lanciandomi alla cieca sulle domande come un pellerossa nel selvaggio west, arrovellando le meningi e impallidendo davanti alla difficoltà dei brani da ascoltare e quelli da leggere. E questa è la mia grande soddisfazione che un voto numerico non potrà mai sminuire (certo, se prendo meno dell'esame di due anni fa vado a nascondermi in un fosso, ma lo trovo improbabile).
E quindi un altro rientro, un altro anno passato e l'incertezza di quello che accadrà. Mi sento malinconico all'idea di partire, molto. Riguardo le foto di questi due anni, e penso che l'intensità di questi due anni non è solo una sensazione ma dimostrata dalle foto stesse. Abramo Lincon diceva che ognuno è responsabile per il suo aspetto dopo i 40 anni. Mi piace vedere le differenze sulla mia faccia dopo quest'esperienza (certo, tranne la scomparsa prematura della maggior parte dei miei capelli, sigh).
Altri aggiornamenti ameni in questi ultimi giorni:
Sono uscito col vicino giapponese a mangiare arrosticini, dopo litri di birra siamo andati in camera sua a provare 烧酒 (per gli amici Shochu, a quanto pare), io sono tornato in camera che quasi non mi ricordavo il mio nome, penso di non essere mai stato così male per aver bevuto. Eh, traguardi di cui essere fieri. Il giorno dopo sono andato a fare promozione del corso per studiare in italia (mezzo morto di after-sbronza + raffreddore) era un eventone, si riunivano una marea di università per procacciare studenti, nel suo piccolo è stato emozionante. Poi insomma, c'erano un sacco di genitori coi loro figli a parlare del loro futuro, tra quelli che ricorderò una mamma col figlio che voleva studiare cucina. Sono in corso una marea di intrallazzi tra visti e banca, chissà se ne uscirò fuori... sento l'esaurimento nervoso avvincarsi minacciosamente. Ho avuto un altra offerta di lavoro, sono un po' ottimista e un po' perplesso, come al solito. Stavolta sono anche angosciato per aver chiesto troppi pochi soldi, mi sento un cretino.
Sono stato alla posta a spedire un pacco di 18 chili e ne sono successe di tutti i colori tra le più salienti: dopo aver infilato quella marea di roba e rivoltato il pacco col nastro adesivo da tutte le parti quando vado a spedirlo la collega di fianco fa 'ah, in italia? allora dovete scrivere tutto preciso preciso' a quel punto crisi mistica, e ci siamo messi a inventare quello che più o meno c'era. "Quanto peseranno i libri?" mi chiede la tipa? e io "beh, praticamente tutto il peso è dei libri, il resto pesa quasi niente..." la tipa scrive 10 chili, col risultato che poi ho scoperto che un cuscino pesa un chilo, 2 paia di scarpe tre chili. Non contenti arrivato a casa ricevo una telefonata: sono la signora della posta, volevo sapere ma i soldi della scatola me li hai dati? e io: ehm, si. e lei: ah ok.
And that's China.
Tramite amici semi-sconosciuti di chat avevo ricevuto un'offerta di lavoro: insegnare per 5 mesi nell'Hubei, a Shiyan. Un posto decisamente "remoto", una città cresciuta in mezzo alle montagne perché lì Mao, il grande timoniere, decise di piazzarci una fabbrica d'auto. Isolata dal resto perché temeva che i russi cattivoni la bombardassero.
Ci ho pensato, se andare o meno, ho chiesto consigli, ho valutato i due percorsi possibili e come comportarmi con banca, poste, biglietti aerei in un caso o nell'altro. E ci penso ancora, ma il tempo è agli sgoccioli e dall'altra parte ancora non hanno tirato fuori uno straccio di contratto. La vedo improbabile come cosa, adesso, mi dispiace ma è anche vero che la voglia di tornare a casa c'è.
Dopo due anni, domenica scorsa, ho ridato l'esame HSK. Questa volta da solo, senza Elisa, Eva e Diego, senza l'autobus a portarci alla sede d'esame perché l'ho fatto all'università, lì dove seguivo le lezioni di cinese. Mi sono iscritto all'esame per una sorta di competizione con me stesso, dubito che mi serva a qualcosa dal punto di vista lavorativo... ma la speranza è l'ultima a morire. Avevo un po' di strizza all'esame perché, dopo la fortuna del sesto livello preso nel 2008, temevo l'eventualità di non superare il punteggio dell'esame precedente, finito l'esame ho avuto un grande senso di sollievo. Mi è sembrato, beh, facile. Più del libro sul quale mi sono preparato, più del livello delle lezioni che seguivo all'università. Mi è sembrato facile un esame che due anni fa ho affrontato con spirito d'avventura, lanciandomi alla cieca sulle domande come un pellerossa nel selvaggio west, arrovellando le meningi e impallidendo davanti alla difficoltà dei brani da ascoltare e quelli da leggere. E questa è la mia grande soddisfazione che un voto numerico non potrà mai sminuire (certo, se prendo meno dell'esame di due anni fa vado a nascondermi in un fosso, ma lo trovo improbabile).
E quindi un altro rientro, un altro anno passato e l'incertezza di quello che accadrà. Mi sento malinconico all'idea di partire, molto. Riguardo le foto di questi due anni, e penso che l'intensità di questi due anni non è solo una sensazione ma dimostrata dalle foto stesse. Abramo Lincon diceva che ognuno è responsabile per il suo aspetto dopo i 40 anni. Mi piace vedere le differenze sulla mia faccia dopo quest'esperienza (certo, tranne la scomparsa prematura della maggior parte dei miei capelli, sigh).
Altri aggiornamenti ameni in questi ultimi giorni:
Sono uscito col vicino giapponese a mangiare arrosticini, dopo litri di birra siamo andati in camera sua a provare 烧酒 (per gli amici Shochu, a quanto pare), io sono tornato in camera che quasi non mi ricordavo il mio nome, penso di non essere mai stato così male per aver bevuto. Eh, traguardi di cui essere fieri. Il giorno dopo sono andato a fare promozione del corso per studiare in italia (mezzo morto di after-sbronza + raffreddore) era un eventone, si riunivano una marea di università per procacciare studenti, nel suo piccolo è stato emozionante. Poi insomma, c'erano un sacco di genitori coi loro figli a parlare del loro futuro, tra quelli che ricorderò una mamma col figlio che voleva studiare cucina. Sono in corso una marea di intrallazzi tra visti e banca, chissà se ne uscirò fuori... sento l'esaurimento nervoso avvincarsi minacciosamente. Ho avuto un altra offerta di lavoro, sono un po' ottimista e un po' perplesso, come al solito. Stavolta sono anche angosciato per aver chiesto troppi pochi soldi, mi sento un cretino.
Sono stato alla posta a spedire un pacco di 18 chili e ne sono successe di tutti i colori tra le più salienti: dopo aver infilato quella marea di roba e rivoltato il pacco col nastro adesivo da tutte le parti quando vado a spedirlo la collega di fianco fa 'ah, in italia? allora dovete scrivere tutto preciso preciso' a quel punto crisi mistica, e ci siamo messi a inventare quello che più o meno c'era. "Quanto peseranno i libri?" mi chiede la tipa? e io "beh, praticamente tutto il peso è dei libri, il resto pesa quasi niente..." la tipa scrive 10 chili, col risultato che poi ho scoperto che un cuscino pesa un chilo, 2 paia di scarpe tre chili. Non contenti arrivato a casa ricevo una telefonata: sono la signora della posta, volevo sapere ma i soldi della scatola me li hai dati? e io: ehm, si. e lei: ah ok.
And that's China.
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